Dopo aver debuttato a giugno dello scorso anno e girato vari festival estivi, il progetto di Michele Di Mauro e di Egumteatro ha girovagato mezza Italia con oltre una trentina di repliche. Finalmente approda al Teatro Out Off di Milano fino a domenica 30 marzo, poi l'aspetta Asti e quindi il giro di stop fino alla prossima stagione. Un anno con 13 lune non è un lavoro teatrale classico: nasce come trascrizione del film omonimo di Rainer Werner Fassbinder, Il regista cult tedesco sfoga sugli schermi un suo tormento interiore provocato dal suicidio dell'amico e amante Armin Meier, avvenuto nell'estate del 1978. Con una determinazione massacrante, girò questo film in pochissimo tempo, soli 25 giorni, per agganciarsi al fatto che proprio il '78 fosse un anno da 13 lune. Fatto assai particolare se si considera che ce ne siano stati 6 in tutto il '900, come avvertiva la didascalia iniziale del film.
La storia racconta a ritroso gli ultimi 5 giorni di vita di Erwin, che era sposato e faceva il macellaio a Francoforte e come, trasformatosi in Elvira per amore di Saitz, abbia l'impressione di scoprire cosa provano le vittime. L'uccisore che vuole diventare vittima è un tema affrontato spesso dal regista. Il protagonista morirà vicino a quella che credeva la sua unica vera amica, Zora. Lei va a letto con l'uomo che Elvira/Erwin ama senza speranza e neppure si accorge del gesto fatale che avviene lì accanto. Intensissimo, affascinante, forte di emozioni e di sensazioni come tutte le opere di Fassbinder, questa trasposizione teatrale rivela frasi magari sfuggite durante la visione del film originale. Ce ne parla Michele Di Mauro, protagonista e coautore del progetto.
E' stato difficile trascrivere questo film?
E' stato importantissimo. Nell'ascolto del film si è trascinati dalla grammatica di Fassbinder e non rimangono tante cose stampate nella mente. Invece rileggerlo mi ha permesso di scoprire cose mai percepite prima. Ci sono tanti monologhi fuori campo, nel film e quanto avviene non è pronunciato da chi si vede.
Vuoi dire che c'è più sottotesto che dialoghi?
Voglio dire che in teatro questo è una manna! Il personaggio è lì, in scena e si appropria nella trasposizione teatrale della presenza di voci fuoricampo. Per esempio, c'è una scena in cui una suora, che stava nell'orfanotrofio dove è cresciuto Erwin, appare mentre sta seduta e si vede che il libro nelle sue mani non è la Bibbia, bensì un volume di Arthur Schopenhauer. Poi lei passeggia nel chiostro, lui la segue, si torna su di loro e il racconto si perde nel fuoricampo.
La citazione intende sostenere il pensiero del filosofo e la sua idea di destino, suppongo. E' stato difficile arrivare alla messa in scena?
Vedi, quanto viene detto nel film è molto più importante di quanto si è visto.Trasporre un film a teatro è un progetto ambizioso e la cosa principale sta nello staccarsi subito dal film per farlo diventare altro.
Il risultato, secondo te?
Adesso siamo molto contenti, lo spettacolo ha avuto un ottimo rodaggio e ci presentiamo sicuri di noi. La cosa interessante della messa in scena di Annalisa Bianco e Virginio Liberti sta nella poetica di Fassbinder. Di solito ci si affidati alla forma, all'artificio o si lavora sugli effetti. Invece la virtù di questpo allestimento è stato fidarsi molto delle vite dei personaggi. Non c'è formalismo ma più profondità, più appartenenza.
Ti riferisci alla recitazione?
In termini di lavoro dell'attore, è stato un po' come mettere in primo piano la persona e dimenticarsi il personaggio, cercando nel profondo di ognuno di noi e non nei personaggi della storia. La regia ha voluto scavare nelle cose, non nella forma delle cose: è un riconoscimento più intimo che apparente.
Il dramma è provocato da chi compie scelte avventate ma resta deluso fino a sentirsene annullato. Tu, lavorando su questo testo, hai mai pensato che sono cose che possono accadere a tutti?
S', è molto normale che nella vita delle scelte azzardate possano segnarci per sempre. La ricerca dell'equilibrio è una cosa assolutamente personale e non negherei a nessuno il diritto di andare fino in fondo nelle scelte della propria vita. Dall'interno, ognuno ha la possibilità di sbagliare e di andare fino in fondo. Poi c'è chi ne fa tesoro e chi per indole non ne è capace, ma la soluzione è sempre personale.
La storia racconta a ritroso gli ultimi 5 giorni di vita di Erwin, che era sposato e faceva il macellaio a Francoforte e come, trasformatosi in Elvira per amore di Saitz, abbia l'impressione di scoprire cosa provano le vittime. L'uccisore che vuole diventare vittima è un tema affrontato spesso dal regista. Il protagonista morirà vicino a quella che credeva la sua unica vera amica, Zora. Lei va a letto con l'uomo che Elvira/Erwin ama senza speranza e neppure si accorge del gesto fatale che avviene lì accanto. Intensissimo, affascinante, forte di emozioni e di sensazioni come tutte le opere di Fassbinder, questa trasposizione teatrale rivela frasi magari sfuggite durante la visione del film originale. Ce ne parla Michele Di Mauro, protagonista e coautore del progetto.
E' stato difficile trascrivere questo film?
E' stato importantissimo. Nell'ascolto del film si è trascinati dalla grammatica di Fassbinder e non rimangono tante cose stampate nella mente. Invece rileggerlo mi ha permesso di scoprire cose mai percepite prima. Ci sono tanti monologhi fuori campo, nel film e quanto avviene non è pronunciato da chi si vede.
Vuoi dire che c'è più sottotesto che dialoghi?
Voglio dire che in teatro questo è una manna! Il personaggio è lì, in scena e si appropria nella trasposizione teatrale della presenza di voci fuoricampo. Per esempio, c'è una scena in cui una suora, che stava nell'orfanotrofio dove è cresciuto Erwin, appare mentre sta seduta e si vede che il libro nelle sue mani non è la Bibbia, bensì un volume di Arthur Schopenhauer. Poi lei passeggia nel chiostro, lui la segue, si torna su di loro e il racconto si perde nel fuoricampo.
La citazione intende sostenere il pensiero del filosofo e la sua idea di destino, suppongo. E' stato difficile arrivare alla messa in scena?
Vedi, quanto viene detto nel film è molto più importante di quanto si è visto.Trasporre un film a teatro è un progetto ambizioso e la cosa principale sta nello staccarsi subito dal film per farlo diventare altro.
Il risultato, secondo te?
Adesso siamo molto contenti, lo spettacolo ha avuto un ottimo rodaggio e ci presentiamo sicuri di noi. La cosa interessante della messa in scena di Annalisa Bianco e Virginio Liberti sta nella poetica di Fassbinder. Di solito ci si affidati alla forma, all'artificio o si lavora sugli effetti. Invece la virtù di questpo allestimento è stato fidarsi molto delle vite dei personaggi. Non c'è formalismo ma più profondità, più appartenenza.
Ti riferisci alla recitazione?
In termini di lavoro dell'attore, è stato un po' come mettere in primo piano la persona e dimenticarsi il personaggio, cercando nel profondo di ognuno di noi e non nei personaggi della storia. La regia ha voluto scavare nelle cose, non nella forma delle cose: è un riconoscimento più intimo che apparente.
Il dramma è provocato da chi compie scelte avventate ma resta deluso fino a sentirsene annullato. Tu, lavorando su questo testo, hai mai pensato che sono cose che possono accadere a tutti?
S', è molto normale che nella vita delle scelte azzardate possano segnarci per sempre. La ricerca dell'equilibrio è una cosa assolutamente personale e non negherei a nessuno il diritto di andare fino in fondo nelle scelte della propria vita. Dall'interno, ognuno ha la possibilità di sbagliare e di andare fino in fondo. Poi c'è chi ne fa tesoro e chi per indole non ne è capace, ma la soluzione è sempre personale.